Pubblichiamo questa interessante analisi elaborata dal Network Europeo delle Donne Migranti (ENOMW), membro della EWL.
In mezzo al vortice degli eventi della
pandemia del Covid-19 e delle misure
adottate dagli stati per prevenire la sua
diffusione, noi di European Network of
Migrant Women vogliamo offrire un’analisi di
alcuni aspetti di questa crisi, da un punto di vista femminista e globale.
Donne richiedenti asilo nel mezzo
dell’epidemia
All’inizio dello scoppio della pandemia, il
Centro Europeo per la prevenzione e il
controllo delle malattie (ECDPC – European
Centre for Disease Prevention and Control) ha
pubblicato un elenco di misure “per aiutare a
combattere il COVID-19”. In pratica, nessuna
di queste misure può essere applicata nel
contesto dell’accoglienza, dove si trova la
maggior parte dei rifugiati, al momento. La
disinfezione frequente delle mani, una
procedura molto semplice, è impossibile da
porsi in essere nelle strutture di accoglienza
per rifugiati, dal momento che la maggioranza
non dispone di sufficiente acqua pulita,
sapone o servizi igienici. L’ECDPC consiglia
“di rimanere a casa o in una dimora
designata, in una stanza singola riservata e
adeguatamente ventilata e preferibilmente con un bagno personale”, “evitando
assembramenti”, “praticando il
distanziamento sociale”, misure queste che
sono impossibili da mantenere, dato che i
rifugiati sono nella maggior parte dei casi
stipati in stanze al di sopra della loro capienza.
Anche, l’avere abbastanza generi alimentari
per “2-4 settimane” non è fattibile per loro,
poiché non hanno le risorse economiche per
comprare le provviste, i luoghi dove
comprarle e lo spazio per immagazzinarle.
Non sono, nemmeno, in grado di “attivare la
propria rete sociale”, i cui componenti
potrebbero essere morti, scomparsi o in un
altro paese.
Le diverse iniziative della società civile e della
Commissione LIBE del Parlamento Europeo,
hanno immediatamente, evidenziato la
‘dimensione dei rifugiati e dei migranti’
nell’ambito della pandemia. Tuttavia, per
quanto possa essere terribile per ogni
rifugiato in queste circostanze, le donne – che
siano quelle intrappolate al confine grecoturco, quelle sotto la ‘direct provision’ in
Irlanda o quelle in un ‘hotspot’ in Italia – si
trovano in una situazione di gran lunga
peggiore di quanto noi potremmo
immaginare. Già il non avere spazi sicuri e per
sole donne che le consentirebbero di poter
badare alle loro necessità primarie lontano
dagli sguardi maschili e dalle molestie, senza
alcuna privacy per potersi cambiare
l’assorbente, allattare i loro figli o fare una
doccia – soggette comunque a una violenza
continua da parte degli uomini, che include
stupri o matrimoni forzati – le donne saranno
anche quelle che dovranno sostenere il peso
della cura dei malati, alleviando il rischio di
infezioni e interponendosi tra i nuovi conflitti
e la violenza maschile che inevitabilmente
scoppieranno nel mezzo della crisi.
Le donne anziane
“ Le segnalazioni di persone anziane
abbandonate in case di cura o di corpi in
decomposizione trovati in case di riposo sono
allarmanti. E’ inaccettabile.” Ha detto Rosa
Kornfeld-Matte, l’Esperta Indipendente delle
Nazioni Unite in materia di diritti umani delle
persone anziane. Per segnalazioni si
intendono quelle provenienti dall’Europa.
Abbiamo tutti già sentito che “sono
SOLTANTO i più anziani ad essere a rischio”,
“SOLTANTO coloro che hanno più di 70 anni
rischiano di più”, quindi certamente molti
sono morti, “MA molti di loro erano vecchi”.
Tutte queste affermazioni hanno messo in luce
una sconcertante, tuttavia non sorprendente,
noncuranza nei riguardi delle persone anziane.
Nella vecchia, seppur fissata con la giovinezza,
società che costituisce, oggi, l’Europa, ove
ogni cosa, dai media al movimento
femminista. rende di moda ‘il giovane’, e dove
la stessa gioventù è stata presa di mira dalle
dottrine liberali della libera scelta e
dell’autodeterminazione individualistica, in
questa emergenza pandemica i più anziani
hanno iniziato a rappresentare ‘il non voluto’,
al meglio, e ‘l’usa e getta’, nei casi peggiori.
Se sono state poste in essere alcune iniziative,
come gli orari per fare la spesa e la consegna
di pacchi cibo a domicilio per i più anziani e i
più vulnerabili, si è trattato, comunque, di
misure extra in un contesto ‘in cui il più forte
sopravvive”. Tale contesto si rivolge
unicamente a chi è in forma, in grado di
muoversi e al ricco che fa compulsivamente la
spesa, come anche a chi irresponsabilmente
esce di casa, ancorché, rassicurato dal
messaggio “sono SOLTANTO i più anziani che
verranno uccisi dal Covid-19”.
Gli “anziani” sono una categoria astratta in
realtà, soprattutto in un’Unione Europea che
considera “giovani” coloro che sono sotto la soglia dei 35 anni. Le donne vivono più a
lungo degli uomini, almeno in Europa,
rappresentando il 55% della popolazione ultra
sessantenne, il 64% del gruppo degli ultra
ottantenni e l’82% di quello dei centenari.
Queste donne possono anche sopravvivere
agli uomini, ma sono tra le più povere, con
malattie croniche e spesso vivono da sole,
essendosi prese cura dei mariti o dei familiari
deceduti. Possiamo allora assumere che sono
queste donne che devono essere lasciate
morire, quando i medici si trovano a dover
dare la priorità a pazienti con migliori
possibilità di sopravvivenza o che hanno
familiari in grado di prendersi cura di loro, una
volta fuori dall’ospedale?
La pandemia della violenza maschile
Se dobbiamo apprendere qualcosa dalla
storia è che nei momenti di crisi – di qualsiasi
tipo – ciò che scoppia immediatamente dopo,
è la violenza maschile. Nelle società moderne
dove la schiacciante maggioranza delle
sparatorie e della violenza ad opera di gang
viene commessa da uomini, dobbiamo sapere
che tale pandemia potrà dare inizio a
un’ondata di violenza commessa da uomini
incapaci di rapportarsi con le conseguenze
psicologiche, finanziarie e sociali della crisi
stessa- Coloro fra noi che hanno esperienza di
lavoro nelle zone di conflitto e nella aree
colpite da calamità naturali, sanno troppo
bene che il collasso delle strutture sociali
stabili può scatenare la violenza maschile, solo
apparentemente non é collegata a questo
collasso. Il primo bersaglio di questa forza 2
violenta sono le donne.
Dal lavoro sulle migrazioni sappiamo anche
che le donne si adattano più velocemente alle
circostanze in mutamento, mostrano maggiore
resilienza e flessibilità e sono maggiormente
preparate psicologicamente alla perdita dello status e delle entrate economiche. Dopotutto,
molte di noi hanno imparato ad accettare fin
dall’infanzia la propria condizione di genere di
“serie b”. Al contrario, gli uomini non sono
capaci di gestire la perdita di controllo, rigetto
o instabilità finanziaria. Le statistiche dei
suicidi delle persone di sesso maschile a
livello globale, se confrontate a quelle delle
persone di sesso femminile, ci dicono
esattamente questo. In un tempo di crisi
sanitaria come questa, con le sue
conseguenze psicologiche su scala di massa,
la proporzione di inettitudine degli uomini a
gestire tali conseguenze diventa anch’essa su
scala di massa. Mentre molti uomini e donne
sono rinchiusi a casa e il rischio di violenza
maschile è reale, il rischio di reazioni alla crisi
di carattere maschilista, su larga scala, diventa
anche esso reale.
Molti gruppi femministi, come anche la
Commissione GREVIO e il Rappresentante
Speciale sulla Violenza Contro le Donne delle
Nazioni Unite, hanno già sollevato l’attenzione
sui pericoli che l’isolamento rappresenta per
le donne. Le mura domestiche sono il luogo
dove è più facile essere soggette a violenza
sessuale, ad essere picchiate ed uccise, dagli
uomini. Considerando questo fatto statistico,
ogni misura che consiglia, o pretende, che le
donne stiano a casa, diventa di per sé
problematica. La scelta brutale tra il contenere
la nuova epidemia di Covid-19 e la vecchia
pandemia della violenza interpersonale degli
uomini è chiara: se tu sei una donna, in tempi
di crisi sanitaria pubblica, puoi benissimo farti
pestare a casa tua.
Dire ciò non è proprio un’esagerazione: in
Cina, le ONG contro la violenza domestica
hanno riportato che i casi di abuso all’interno
del contesto familiare sono lievitati durante
l’isolamento. Con il 90% delle cause correlate
all’epidemia mentre il supporto per le
sopravvissute diminuiva. La situazione si
riflette in Europa, dove in paesi come la Francia, l’Italia e la Spagna il numero delle
donne vittime di violenza che cercano e non
trovano supporto è alle stelle. Il 28 marzo, il
Regno Unito ha riportato il suo primo
femminicidio da coronavirus, commesso da un
uomo su sua moglie che era in
autoisolamento con lui. In questa situazione,
le donne migranti, vittime di violenza in
particolare, non avranno alcun rifugio dove
andare, dal momento che molte di loro
devono ancora superare molte barriere per
accedere alla giustizia, con la paura di perdere
la loro condizione giuridica. A meno che non
venga reso esplicito che i loro diritti non
saranno revocati qualora denuncino gli autori
delle violenze, le donne migranti
continueranno a stare con le persone che le
abusano, situazione questa in cui il rischio di
venire assassinate è più alto rispetto a quello
di morire per il virus. Altre, potrebbero vedersi
costrette a scegliere un percorso attraverso il
quale finiscono per essere criminalizzate,
diventando preda della rete del crimine
organizzato o di malnutrizione e di contagio. Mentre, alcuni Stati in Europa stanno
provando ad assicurare ai loro residenti,
indipendentemente dal loro status giuridico,
l’accesso al sistema sanitario, a quello della
protezione sociale e ad una compensazione
economica, molti altri, non mostrano le stesse
intenzioni. Al contrario, alcuni stanno
considerando di tagliare fuori i migranti dal
supporto sanitario. usando la pretesa razzista
che sono stati i migranti ad aver portato il
‘virus straniero”.
Donne nei settori della cura e del lavoro
domestico
Molti lavori di cura, assistenza infermieristica e
pulizia – i lavori sottovalutati e privi di risorse
che per primi saranno colpiti dalle misure di
austerity – sono eseguiti dalle donne. Queste
donne sono ora applaudite dalle finestre e a buon diritto, dai cittadini rinchiusi nei loro
appartamenti. Ma le lodi simboliche degli
applausi non potranno cambiare la realtà
materiale di queste donne, poiché l’Europa
continua ad importare mano d’opera a basso
costo, costituita in gran parte da migranti
provenienti sia da fuori che dall’interno
dell’Unione Europea.
Con o senza la pandemia, queste donne sono
costrette a lavorare per lunghe ore in
condizioni precarie e non potranno, ora,
rimanere a casa a prendersi cura di se stesse.
Invece, andranno a lavorare per prendersi cura
di altri, dal momento che costituiscono la
spina dorsale del sistema e, senza il loro
apporto, il sistema si sgretolerebbe.
Molto è stato già detto dalle femministe
riguardo la crisi del lavoro di assistenza che
questa pandemia ha messo in evidenza, ma
questa crisi è ancor più profonda per quelle
donne che non godono di protezioni
giuridiche in questo settore. All’inizio di
questa crisi, in Spagna, le associazioni delle
lavoratrici nell’ambito della cura e del lavoro
domestico hanno denunciato la situazione
delle lavoratrici conviventi, i cui datori di
lavoro avevano proibito di lasciare la casa
dove lavorano. A differenza di altri lavoratori,
queste non hanno diritto all’assicurazione; le
loro condizioni di lavoro sono esenti da visite
ispettive; non ricevono alcuna pensione. Non
possono nemmeno cambiare in modalità
telelavoro. Poco dopo, il Governo spagnolo
ha annunciato misure economiche per aiutare
la popolazione affetta dal coronavirus.
Tuttavia, non c’era nessuna misura chiara per i
bisogni delle più di 630,000 lavoratrici
domestiche che attualmente sono in Spagna,
molte delle quali irregolari o che lavorano
nella c.d. economia del ‘lavoro nero’. Tranne
pochissime eccezioni, la maggior parte degli
Stati europei mancano di fare riferimento su
come aiuteranno le centinaia di migliaia di
lavoratrici domestiche, lasciate senza risorse economiche, nei loro pacchetti di misure a
supporto dell’emergenza. Queste donne,
insieme ad altre persone in situazioni di
irregolarità amministrativa, sono ora a rischio
di essere spinte verso derive pericolose e di
sfruttamento, tra cui, si può includere sia
quello a carattere sessuale che quello
lavorativo in condizioni non protette e di
abuso.
Donne nei settori della prostituzione e della
pornografia
Ora, è arrivato il momento di comprendere la
realtà della prostituzione, qualora non
l’avessimo ancora compresa. Le donne che
fanno parte di questo sistema si trovano a
gravissimo rischio di essere attaccate, sia dal
virus stesso che da tutte le conseguenze
legate al loro stesso genere di appartenenza,
dovute alla gestione del loro business. Per il
sistema della prostituzione, implementare il
“distanziamento sociale” significa
letteralmente “la fine degli affari”, ma come si
manifesta in pratica?
Le donne che lavorano nel settore della
prostituzione entrano in contatto con un alto
numero di uomini, ciascuno dei quali
potrebbe essere un portatore del virus, e,
molti dei quali forzano le donne ad atti
sessuali non protetti. Un esempio illustrativo
di come le donne nel settore del sesso siano
state messe in guardia ad usare misure di
protezione è una nota pubblicata da AMMAR,
il sindacato argentino delle lavoratrici del
sesso, che invita le donne a lavarsi le mani per
più di venti secondi ed a rifiutare uomini che
avessero viaggiato di recente o che ne
presentassero i sintomi. Se la prostituzione
fosse un servizio, a queste donne verrebbe
offerta una protezione igienica completa,
comprese mascherine, gel, guanti e nessun
cliente potrebbe avvicinarsi a più di un metro.
Le cc.dd misure sanitarie consigliate
dall’industria mascherano una realtà in cui il
rischio maggiore, non è la mancanza di gel
sanitizzante, ma il compratore stesso con la
sua arroganza di voler essere sessualmente
soddisfatto ad ogni costo e la continuità della
violenza maschile che si porta assieme, per
quelle donne che la devono subire . Il
togliere il diritto alle donne a dire di no è alla
radice di questa continuità.
Al contrario, gli Stati hanno adottato approcci
differenti. La Germania, l’Olanda e la Svizzera
– paesi con il maggior numero di prostituzione
sul mercato europeo – hanno chiuso i bordelli
e hanno imposto multe per le violazioni a tale
regola. In confronto a quelle attiviste
femministe che, per decenni, hanno
argomentato che la soddisfazione sessuale
non è una necessità umana vitale, il Covid-19
è riuscito ad ottenere ciò in una manciata di
giorni. Anche gli stessi Stati più in favore
regolamentazione sono stati chiari: gli uomini
possono fare a meno di un’industria che
soddisfa i loro “bisogni”.
Ciononostante, niente è così semplice in un
attuale sistema globalizzato di sfruttamento
sessuale. Come è il caso di qualsiasi mercato
della prostituzione in Europa, esso è per la
maggior parte gli composto da donne
migranti – sia da fuori che dall’interno dell’UE
– le quali ne fanno parte sia per costrizione
che per mancanza di risorse economiche.
Molte di loro sono controllate dagli sfruttatori,
a distanza o a vista; la schiacciante
maggioranza, persino negli Stati in cui la
prostituzione è regolamentata, non sono
registrate come “lavoratrici”, e, in quanto non
tali, non hanno accesso al sistema sanitario o
all’assistenza, alla previdenza sociale o agli
ammortizzatori sociali. Con la chiusura delle
attività, queste donne hanno tutto da perdere,
a meno che lo Stato non provveda
immediatamente e nel lungo periodo a
supportarle nel non continuare a prendere “decisioni” ancor più pericolose di quelle che
hanno già preso. Se non si ritengono
responsabili gli sfruttatori ed i clienti di
spingere, forzare e sfruttare le donne nella
prostituzione, e, senza assistenza materiale
alle donne per consentire di uscirne, i divieti a
tappeto relativi al mercato del sesso,
danneggeranno inevitabilmente ,coloro che
ne sono già vittime.
A peggiorare le cose, come effetto collaterale
della chiusura fisica dei bordelli, c’è stato un
aumento del mercato pornografico che in
maniera decisa ha colto l’occasione di
capitalizzare la miseria delle donne. PornHub
– il maggiore serbatoio online di abusi sessuali
sulle donne registrate, che al momento sta
affrontando serie accuse per traffico di esseri
umani – ha lanciato un’offerta “filantropica”
diretta agli uomini – un aggiornamento
gratuito dei servizi premium di PurnHub.
Come molti servizi che sono passati alla
modalità online, nel contesto della
prostituzione, questo implica che le donne
che dovevano avere a che fare con uomini
abusivi nei bordelli reali, dovranno ora
interagire con loro in quelli virtuali. E dal
moment che, i clienti chiusi a casa
probabilmente non cambieranno i loro
comportamenti – e tra l’altro, l’impatto
psicologico dell’isolamento rischia di
peggiorarli - sarà necessaria una fornitura
doppia di donne per soddisfare tale
domanda. Queste donne verranno dai
contesti più disagiati – saranno madri sole, disoccupate, studentesse senza entrate
economiche, donne migranti e rifugiate.
La salute delle donne e la riscoperta del
sesso
E’ stato stabilito ormai che il Covid-19 uccide
più uomini che donne. Alcuni dicono che la
cosa è collegata al nostro sistema immunitario, agli ormoni femminili e ad uno
stile di vita più sano rispetto a quello
maschile. L’Organizzazione Mondiale della
Sanità parla di “un vantaggio biologico
intrinseco del genere femminile”, mentre,
alcuni altri scienziati affermano che “le donne
hanno un vantaggio immunologico sugli
uomini” dovuto al doppio cromosoma X.
Tuttavia, non esistono ancora risposte chiare.
A sottolineare questa incertezza sta il fatto che
i nostri sistemi – non solo quelli relativi alla
salute, ma ogni tipo di sistema – non
posseggono dati disaggregati in base al
genere, non affrontando le distinte necessità
dei due gruppi cioè di donne e di uomini,
questi ultimi sono visti come la regola.
Caroline Criado Perez l’ha detto chiaramente
in un suo recente libro “Invisible Women:
Exposing Data Bias in a World Designed for
Men “ (Donne invisibili: esponendo il
pregiudizio nei dati in un mondo pensato per
gli uomini). A rendere le cose peggiori, in una
situazione di scarsità di dati sulle donne,
l’attuale concetto di “genere”, ora in voga, ha
sostituito quello di “sesso biologico”,
trasformando, di conseguenza, un immutabile
caratteristica umana in una questione di
“identità”. Ma i nostri corpi sessuati non
possono essere ridotti a un’identificazione
personale e questa crisi globale ha
evidenziato questa verità inoffensiva. Sotto la
pressione del Covid-19, alcune cliniche hanno
finalmente ammesso che la surroga – un
meccanismo riproduttivo a cui solo le donne
sono soggette – ha un grave impatto dannoso
sulla salute, poiché “alle donne surrogate”
vengono iniettati farmaci immunosoppressivi
che le rendono incapaci di reagire al virus.
Altre cliniche invece, dove
l’autodeterminazione del sesso era divenuta
prassi, hanno realizzato che la registrazione
corretta del sesso biologico è più importante
dei nostri sentimenti al riguardo. Dopotutto il
sesso non è mai stato un costrutto
“assegnato” a caso da noncuranti dottori; viene osservato alla nascita e può fare la
differenza tra la vita e la morte.
La questione attinente alla salute, però, non
riguarda meramente coloro che sono più
esposti alle forme più maligne del Covid-19.
Anche se, il sesso femminile si è dimostrato
più resiliente, c’è tutta una serie di
conseguenze che si manifestano sulla salute
femminile durante questa crisi. Dalle
infermiere e alle inservienti senza sufficienti
protezioni, la cui salute è a rischio, alla salute
che si rischia in casa in seguito agli abusi
domestici, alla salute mentale delle madri
sulle cui spalle pesa, soprattutto l’istruzione
casalinga dei figli. La salute delle donne in
quanto gruppo sarà costretta a sopportare le
conseguenze di questa crisi. E, se il fatto che
dopo nove mesi di isolamento dobbiamo
aspettarci una nuova generazione di “baby
boomers” è divenuta quasi una barzelletta, la
realtà è che in molti Paesi europei i servizi
abortivi sono considerati “non essenziali” e le
donne hanno difficoltà ad accedere alla
contraccezione. Se siamo destinati ad avere
molte nascite fra nove mesi, sarà ciò il
risultato delle scelte riproduttive delle donne
o dalla mancanza di possibilità di operare
tale scelte?
Nei ‘Paesi in via di sviluppo”, in particolare, in
quelli in cui c’è mancanza di cibo o che
ospitano il maggior numero di rifugiati al
mondo, la questione riguardante la salute
delle donne diventa ancor più drastica: in
stato di quarantena, con settori dell’economia
che chiudono e famiglie non più in grado di
immagazzinare viveri, qual sarà l’impatto sulla
salute delle bambine e delle donne tenuto
conto della già diffusa malnutrizione delle
bambine stesse? Come reagiranno le
comunità alla notizia che il virus è più fatale
per gli uomini, in considerazione della già
estesa pratica degli aborti selettivi per sesso
del feto e le statistiche sui femminicidi?
La risposta è nel nome: la pandemia è
globale
Se pensi che ce la stiamo passando brutta in
Europa, pensa come deve essere nelle favelas
in Brasile dove l’epidemia colpisce. Pensa alle
aree di Dalit in India. Pensa alle baraccopoli in
Kenya.
Allorchè, Bill Gates nel suo Ted Talk del 2015
ammonì a prepararsi ad una eventuale
pandemia, non applicò la stessa logica alle
sue azioni filantropiche. Se lo avesse fatto,
sicuramente non avrebbe investito milioni
nella distribuzione di preservativi nelle zone a
luci rosse dei distretti dell’India, dove le
ragazze nascono da madri prostitute, solo per
poi diventare prostituite a loro volta all’età di
otto anni. Avrebbe, invece, investito nella
possibilità di far uscire queste donne dalle
baraccopoli e nel creare le condizioni sociali in
grado di scoraggiare il comportamento degli
uomini che visitano questi luoghi. Ed è qui,
dove il modello patriarcale capitalista “del far
bene” ci ha portato: nonostante tutte le
risorse e le tecnologie a disposizione, il
mondo occidentale si è concentrato sul
generare profitto, non ha investito in strutture
che ci avrebbero consentito di affrontare, o
prevenire, una tale pandemia.
La relazione sbilanciata tra Nord e Sud del
mondo appare più forte che mai, anche,
nella gestione di questa pandemia, che sta già
producendo i suoi effetti sulle economie in
Africa, America Latina e ed Asia. Dal
momento che tutti tirano dentro la
conversazione l’Ebola, non dobbiamo
dimenticarci che l’Ebola è stata percepita
come un qualcosa di “lontano da noi”. Non
ha scosso il sistema sociale, economico e
politico globale, lasciando il continente
africano, da solo, a gestire la crisi.
Nonostante il “Sud Globale” stia adottando
misure preventive per contenere il Covid-19, diversi Paesi ne pagano già l’amaro prezzo:
iniziando dai Paesi con regimi autoritari che
stanno approfittando della situazione, per
implementare politiche rigide e per detenere
e torturare i dissidenti, nel frattempo, mentre
il mondo è impegnato a guardare la
pandemia. La situazione peggiora, quando i
media, i “think thanks” e le organizzazioni
della società civile compiono un’analisi del
Sud del mondo, concentrandosi soprattutto
sull’impatto economico, senza alcuna
menzione di come tale impatto influenzi le
vite di donne e bambine.
Ciò significa che nei Paesi dove la violenza
domestica non è considerata come tale, in
regime di quarantena o isolamento, la sua
incidenza aumenta senza essere notata. La
violenza maschile di cui si è parlato sopra, farà
pesare le sue conseguenze sull’instabilità
politica nei paesi in transizione da conflitti e
guerre, che inevitabilmente si ripercuoteranno
sulle donne e le bambine. Laddove, i diritti
finanziari e di proprietà delle donne sono
deboli e dove il reddito delle donne,
includendo le vedove, le madri single e le
studentesse, deriva dal guadagno giornaliero
dell’economia informale, milioni di donne
passeranno dalla situazione di povertà a
quella di estrema povertà. Non saranno messe
in atto misure per le donne impiegate nel
lavoro domestico o di assistenza, molte delle
quali già vivono in condizioni simili alla
schiavitù.
Come aveva affermato Simone de Beauvoir
“mai dimenticarsi che una crisi politica,
economica o religiosa potrà essere più che
sufficiente per mettere in discussione i diritti
delle donne. Questi diritti non sono mai
acquisiti. Dovrai vigilare durante tutta la tua
vita”, e aveva ragione. Le conseguenze su
larga scala di questa pandemia, che
dobbiamo essere pronti a fronteggiare, non si
limitano solamente ad una crisi economica.
Dobbiamo essere pronti a fronteggiare un ritorno indietro dei diritti delle donne – di
tutte le donne del mondo – verso il periodo
pre-CEDAW.
La pandemia ha monopolizzato l’attenzione di
tutti, con il rischio che le importanti questioni
di genere vengano dimenticate. Femminicidi,
mutilazioni genitali femminili, matrimoni
forzati, stupri sono solo alcune delle violazioni
dei diritti umani che rischiano di cadere nel
silenzio. Queste si amplificano nei campi per
rifugiati e per sfollati esistenti nel mondo. I
diritti economici delle donne rischiano di
essere considerati di secondo livello, mentre
sempre più donne cercheranno di andarsene
dalle zone devastate, rischiando di essere
vittime di trafficanti e sfruttatori.
Una finestra di opportunità: sognate,
sorelle, e lottate!
Alcuni dicono, “torneremo alla normalità
quando la crisi sarà finita”, ma per molte di
noi – se non la maggior parte – non è esistita
alcuna normalità già da prima. La normalità
non è esistita per molte donne in Europa,
nonostante il fatto che la nuova Presidente
della Commissione Europea sia donna. Non è
esistita per molti migranti e rifugiati. Non è
esistita per le madri, le anziane, le lavoratrici.
Non è esistita una “normalità” per le donne
che si prostituiscono.
E’ giunta l’ora di ammetterlo. E’ giunto, ora,
il tempo di chiedersi come debba essere la
“normalità”, da una prospettiva femminista e
globale.
Se alcune di noi non avessero ancora capito
che viviamo in un mondo globalizzato, la
magnitudine della crisi. ci deve servire come
prova. Se il Covid-19 può diffondersi
rapidamente e a livello globale, così possono
fare le ideologie o i movimenti; negativi e
positivi; distruttivi o, anche, trasformativi.
La pandemia globale ha offerto uno spazio a
quelli che possono beneficiare della
distrazione del mondo, per evitare
l’esposizione e la pressione in merito alla
violenza commessa contro le donne e le
bambine, ogni giorno. Ma ha anche aperto
uno spazio per rivedere le nostre priorità
come società e mostra chiaramente cosa
produca benefici per pochi, in
contrapposizione alla prosperità dei molti. Per
noi – attiviste femministe e alleate – ha creato
uno spazio per re-immaginare un mondo
libero dalla violenza maschile, dalla
oggettivizzazione sessuale di donne e
bambine, dalla corruzione patriarcale
all’interno delle istituzioni e dallo sfruttamento
globale. Un mondo in cui non ci verrà
impedito di alzare la voce per la liberazione
delle donne attiviste in Arabia Saudita, di
chiedere ai governi di mettere fine al sistema
della prostituzione, di rivendicare i diritti di
badanti e lavoratrici domestiche affinché
vengano rispettati come diritti dei lavoratori.
E’ giunto ora il tempo di essere audaci e
unite, come donne del mondo, nel chiedere
che i diritti umani delle donne, che la
prospettiva femminista su come attuarli, e le
fonti giuridiche internazionali come la CEDAW
e la Dichiarazione di Pechino per cui le nostre
madri, di tutto il mondo, hanno lottato
duramente, vengano posti al centro
dell’agenda politica globale, cominciando
dalla nostra casa che è l’Europa.