venerdì 10 aprile 2020

La prospettiva femminista e globale sulla pandemia: che “normalità” dobbiamo aspettarci una volta finita la crisi?


Pubblichiamo questa interessante analisi elaborata dal Network Europeo delle Donne Migranti (ENOMW), membro della EWL.

In mezzo al vortice degli eventi della pandemia del Covid-19 e delle misure adottate dagli stati per prevenire la sua diffusione, noi di European Network of Migrant Women vogliamo offrire un’analisi di alcuni aspetti di questa crisi, da un punto di vista femminista e globale. 

Donne richiedenti asilo nel mezzo dell’epidemia 

All’inizio dello scoppio della pandemia, il Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDPC – European Centre for Disease Prevention and Control) ha pubblicato un elenco di misure “per aiutare a combattere il COVID-19”. In pratica, nessuna di queste misure può essere applicata nel contesto dell’accoglienza, dove si trova la maggior parte dei rifugiati, al momento. La disinfezione frequente delle mani, una procedura molto semplice, è impossibile da porsi in essere nelle strutture di accoglienza per rifugiati, dal momento che la maggioranza non dispone di sufficiente acqua pulita, sapone o servizi igienici. L’ECDPC consiglia “di rimanere a casa o in una dimora designata, in una stanza singola riservata e adeguatamente ventilata e preferibilmente  con un bagno personale”, “evitando assembramenti”, “praticando il distanziamento sociale”, misure queste che sono impossibili da mantenere, dato che i rifugiati sono nella maggior parte dei casi stipati in stanze al di sopra della loro capienza. Anche, l’avere abbastanza generi alimentari per “2-4 settimane” non è fattibile per loro, poiché non hanno le risorse economiche per comprare le provviste, i luoghi dove comprarle e lo spazio per immagazzinarle. Non sono, nemmeno, in grado di “attivare la propria rete sociale”, i cui componenti potrebbero essere morti, scomparsi o in un altro paese.

Le diverse iniziative della società civile e della Commissione LIBE del Parlamento Europeo, hanno immediatamente, evidenziato la ‘dimensione dei rifugiati e dei migranti’ nell’ambito della pandemia. Tuttavia, per quanto possa essere terribile per ogni rifugiato in queste circostanze, le donne – che siano quelle intrappolate al confine grecoturco, quelle sotto la ‘direct provision’ in Irlanda o quelle in un ‘hotspot’ in Italia – si trovano in una situazione di gran lunga peggiore di quanto noi potremmo immaginare. Già il non avere spazi sicuri e per sole donne che le consentirebbero di poter badare alle loro necessità primarie lontano dagli sguardi maschili e dalle molestie, senza alcuna privacy per potersi cambiare l’assorbente, allattare i loro figli o fare una doccia – soggette comunque a una violenza continua da parte degli uomini, che include stupri o matrimoni forzati – le donne saranno anche quelle che dovranno sostenere il peso della cura dei malati, alleviando il rischio di infezioni e interponendosi tra i nuovi conflitti e la violenza maschile che inevitabilmente scoppieranno nel mezzo della crisi.

 Le donne anziane 

“ Le segnalazioni di persone anziane abbandonate in case di cura o di corpi in decomposizione trovati in case di riposo sono allarmanti. E’ inaccettabile.” Ha detto Rosa Kornfeld-Matte, l’Esperta Indipendente delle Nazioni Unite in materia di diritti umani delle persone anziane. Per segnalazioni si intendono quelle provenienti dall’Europa. 

Abbiamo tutti già sentito che “sono SOLTANTO i più anziani ad essere a rischio”, “SOLTANTO coloro che hanno più di 70 anni rischiano di più”, quindi certamente molti sono morti, “MA molti di loro erano vecchi”. 

Tutte queste affermazioni hanno messo in luce una sconcertante, tuttavia non sorprendente, noncuranza nei riguardi delle persone anziane. Nella vecchia, seppur fissata con la giovinezza, società che costituisce, oggi, l’Europa, ove ogni cosa, dai media al movimento femminista. rende di moda ‘il giovane’, e dove la stessa gioventù è stata presa di mira dalle dottrine liberali della libera scelta e dell’autodeterminazione individualistica, in questa emergenza pandemica i più anziani hanno iniziato a rappresentare ‘il non voluto’, al meglio, e ‘l’usa e getta’, nei casi peggiori. Se sono state poste in essere alcune iniziative, come gli orari per fare la spesa e la consegna di pacchi cibo a domicilio per i più anziani e i più vulnerabili, si è trattato, comunque, di misure extra in un contesto ‘in cui il più forte sopravvive”. Tale contesto si rivolge unicamente a chi è in forma, in grado di muoversi e al ricco che fa compulsivamente la spesa, come anche a chi irresponsabilmente esce di casa, ancorché, rassicurato dal messaggio “sono SOLTANTO i più anziani che verranno uccisi dal Covid-19”.

Gli “anziani” sono una categoria astratta in realtà, soprattutto in un’Unione Europea che considera “giovani” coloro che sono sotto la soglia dei 35 anni. Le donne vivono più a lungo degli uomini, almeno in Europa, rappresentando il 55% della popolazione ultra sessantenne, il 64% del gruppo degli ultra ottantenni e l’82% di quello dei centenari. Queste donne possono anche sopravvivere agli uomini, ma sono tra le più povere, con malattie croniche e spesso vivono da sole, essendosi prese cura dei mariti o dei familiari deceduti. Possiamo allora assumere che sono queste donne che devono essere lasciate morire, quando i medici si trovano a dover dare la priorità a pazienti con migliori possibilità di sopravvivenza o che hanno familiari in grado di prendersi cura di loro, una volta fuori dall’ospedale?

La pandemia della violenza maschile

 Se dobbiamo apprendere qualcosa dalla storia è che nei momenti di crisi – di qualsiasi tipo – ciò che scoppia immediatamente dopo, è la violenza maschile. Nelle società moderne dove la schiacciante maggioranza delle sparatorie e della violenza ad opera di gang viene commessa da uomini, dobbiamo sapere che tale pandemia potrà dare inizio a un’ondata di violenza commessa da uomini incapaci di rapportarsi con le conseguenze psicologiche, finanziarie e sociali della crisi stessa- Coloro fra noi che hanno esperienza di lavoro nelle zone di conflitto e nella aree colpite da calamità naturali, sanno troppo bene che il collasso delle strutture sociali stabili può scatenare la violenza maschile, solo apparentemente non é collegata a questo collasso. Il primo bersaglio di questa forza 2 violenta sono le donne.

Dal lavoro sulle migrazioni sappiamo anche che le donne si adattano più velocemente alle circostanze in mutamento, mostrano maggiore resilienza e flessibilità e sono maggiormente preparate psicologicamente alla perdita dello status e delle entrate economiche. Dopotutto, molte di noi hanno imparato ad accettare fin dall’infanzia la propria condizione di genere di “serie b”. Al contrario, gli uomini non sono capaci di gestire la perdita di controllo, rigetto o instabilità finanziaria. Le statistiche dei suicidi delle persone di sesso maschile a livello globale, se confrontate a quelle delle persone di sesso femminile, ci dicono esattamente questo. In un tempo di crisi sanitaria come questa, con le sue conseguenze psicologiche su scala di massa, la proporzione di inettitudine degli uomini a gestire tali conseguenze diventa anch’essa su scala di massa. Mentre molti uomini e donne sono rinchiusi a casa e il rischio di violenza maschile è reale, il rischio di reazioni alla crisi di carattere maschilista, su larga scala, diventa anche esso reale.

Molti gruppi femministi, come anche la Commissione GREVIO e il Rappresentante Speciale sulla Violenza Contro le Donne delle Nazioni Unite, hanno già sollevato l’attenzione sui pericoli che l’isolamento rappresenta per le donne. Le mura domestiche sono il luogo dove è più facile essere soggette a violenza sessuale, ad essere picchiate ed uccise, dagli uomini. Considerando questo fatto statistico, ogni misura che consiglia, o pretende, che le donne stiano a casa, diventa di per sé problematica. La scelta brutale tra il contenere la nuova epidemia di Covid-19 e la vecchia pandemia della violenza interpersonale degli uomini è chiara: se tu sei una donna, in tempi di crisi sanitaria pubblica, puoi benissimo farti pestare a casa tua.

 Dire ciò non è proprio un’esagerazione: in Cina, le ONG contro la violenza domestica hanno riportato che i casi di abuso all’interno del contesto familiare sono lievitati durante l’isolamento. Con il 90% delle cause correlate all’epidemia mentre il supporto per le sopravvissute diminuiva. La situazione si riflette in Europa, dove in paesi come la Francia, l’Italia e la Spagna il numero delle donne vittime di violenza che cercano e non trovano supporto è alle stelle. Il 28 marzo, il Regno Unito ha riportato il suo primo femminicidio da coronavirus, commesso da un uomo su sua moglie che era in autoisolamento con lui. In questa situazione, le donne migranti, vittime di violenza in particolare, non avranno alcun rifugio dove andare, dal momento che molte di loro devono ancora superare molte barriere per accedere alla giustizia, con la paura di perdere la loro condizione giuridica. A meno che non venga reso esplicito che i loro diritti non saranno revocati qualora denuncino gli autori delle violenze, le donne migranti continueranno a stare con le persone che le abusano, situazione questa in cui il rischio di venire assassinate è più alto rispetto a quello di morire per il virus. Altre, potrebbero vedersi costrette a scegliere un percorso attraverso il quale finiscono per essere criminalizzate, diventando preda della rete del crimine organizzato o di malnutrizione e di contagio. Mentre, alcuni Stati in Europa stanno provando ad assicurare ai loro residenti, indipendentemente dal loro status giuridico, l’accesso al sistema sanitario, a quello della protezione sociale e ad una compensazione economica, molti altri, non mostrano le stesse intenzioni. Al contrario, alcuni stanno considerando di tagliare fuori i migranti dal supporto sanitario. usando la pretesa razzista che sono stati i migranti ad aver portato il ‘virus straniero”.

Donne nei settori della cura e del lavoro domestico

 Molti lavori di cura, assistenza infermieristica e pulizia – i lavori sottovalutati e privi di risorse che per primi saranno colpiti dalle misure di austerity – sono eseguiti dalle donne. Queste donne sono ora applaudite dalle finestre e a buon diritto, dai cittadini rinchiusi nei loro appartamenti. Ma le lodi simboliche degli applausi non potranno cambiare la realtà materiale di queste donne, poiché l’Europa continua ad importare mano d’opera a basso costo, costituita in gran parte da migranti provenienti sia da fuori che dall’interno dell’Unione Europea.

Con o senza la pandemia, queste donne sono costrette a lavorare per lunghe ore in condizioni precarie e non potranno, ora, rimanere a casa a prendersi cura di se stesse. Invece, andranno a lavorare per prendersi cura di altri, dal momento che costituiscono la spina dorsale del sistema e, senza il loro apporto, il sistema si sgretolerebbe.

 Molto è stato già detto dalle femministe riguardo la crisi del lavoro di assistenza che questa pandemia ha messo in evidenza, ma questa crisi è ancor più profonda per quelle donne che non godono di protezioni giuridiche in questo settore. All’inizio di questa crisi, in Spagna, le associazioni delle lavoratrici nell’ambito della cura e del lavoro domestico hanno denunciato la situazione delle lavoratrici conviventi, i cui datori di lavoro avevano proibito di lasciare la casa dove lavorano. A differenza di altri lavoratori, queste non hanno diritto all’assicurazione; le loro condizioni di lavoro sono esenti da visite ispettive; non ricevono alcuna pensione. Non possono nemmeno cambiare in modalità telelavoro. Poco dopo, il Governo spagnolo ha annunciato misure economiche per aiutare la popolazione affetta dal coronavirus. Tuttavia, non c’era nessuna misura chiara per i bisogni delle più di 630,000 lavoratrici domestiche che attualmente sono in Spagna, molte delle quali irregolari o che lavorano nella c.d. economia del ‘lavoro nero’. Tranne pochissime eccezioni, la maggior parte degli Stati europei mancano di fare riferimento su come aiuteranno le centinaia di migliaia di lavoratrici domestiche, lasciate senza risorse economiche, nei loro pacchetti di misure a supporto dell’emergenza. Queste donne, insieme ad altre persone in situazioni di irregolarità amministrativa, sono ora a rischio di essere spinte verso derive pericolose e di sfruttamento, tra cui, si può includere sia quello a carattere sessuale che quello lavorativo in condizioni non protette e di abuso.

Donne nei settori della prostituzione e della pornografia

 Ora, è arrivato il momento di comprendere la realtà della prostituzione, qualora non l’avessimo ancora compresa. Le donne che fanno parte di questo sistema si trovano a gravissimo rischio di essere attaccate, sia dal virus stesso che da tutte le conseguenze legate al loro stesso genere di appartenenza, dovute alla gestione del loro business. Per il sistema della prostituzione, implementare il “distanziamento sociale” significa letteralmente “la fine degli affari”, ma come si manifesta in pratica?

Le donne che lavorano nel settore della prostituzione entrano in contatto con un alto numero di uomini, ciascuno dei quali potrebbe essere un portatore del virus, e, molti dei quali forzano le donne ad atti sessuali non protetti. Un esempio illustrativo di come le donne nel settore del sesso siano state messe in guardia ad usare misure di protezione è una nota pubblicata da AMMAR, il sindacato argentino delle lavoratrici del sesso, che invita le donne a lavarsi le mani per più di venti secondi ed a rifiutare uomini che avessero viaggiato di recente o che ne presentassero i sintomi. Se la prostituzione fosse un servizio, a queste donne verrebbe offerta una protezione igienica completa, comprese mascherine, gel, guanti e nessun cliente potrebbe avvicinarsi a più di un metro.

 Le cc.dd misure sanitarie consigliate dall’industria mascherano una realtà in cui il rischio maggiore, non è la mancanza di gel sanitizzante, ma il compratore stesso con la sua arroganza di voler essere sessualmente soddisfatto ad ogni costo e la continuità della violenza maschile che si porta assieme, per quelle donne che la devono subire . Il togliere il diritto alle donne a dire di no è alla radice di questa continuità.

Al contrario, gli Stati hanno adottato approcci differenti. La Germania, l’Olanda e la Svizzera – paesi con il maggior numero di prostituzione sul mercato europeo – hanno chiuso i bordelli e hanno imposto multe per le violazioni a tale regola. In confronto a quelle attiviste femministe che, per decenni, hanno argomentato che la soddisfazione sessuale non è una necessità umana vitale, il Covid-19 è riuscito ad ottenere ciò in una manciata di giorni. Anche gli stessi Stati più in favore regolamentazione sono stati chiari: gli uomini possono fare a meno di un’industria che soddisfa i loro “bisogni”.

 Ciononostante, niente è così semplice in un attuale sistema globalizzato di sfruttamento sessuale. Come è il caso di qualsiasi mercato della prostituzione in Europa, esso è per la maggior parte gli composto da donne migranti – sia da fuori che dall’interno dell’UE – le quali ne fanno parte sia per costrizione che per mancanza di risorse economiche. Molte di loro sono controllate dagli sfruttatori, a distanza o a vista; la schiacciante maggioranza, persino negli Stati in cui la prostituzione è regolamentata, non sono registrate come “lavoratrici”, e, in quanto non tali, non hanno accesso al sistema sanitario o all’assistenza, alla previdenza sociale o agli ammortizzatori sociali. Con la chiusura delle attività, queste donne hanno tutto da perdere, a meno che lo Stato non provveda immediatamente e nel lungo periodo a supportarle nel non continuare a prendere “decisioni” ancor più pericolose di quelle che hanno già preso. Se non si ritengono responsabili gli sfruttatori ed i clienti di spingere, forzare e sfruttare le donne nella prostituzione, e, senza assistenza materiale alle donne per consentire di uscirne, i divieti a tappeto relativi al mercato del sesso, danneggeranno inevitabilmente ,coloro che ne sono già vittime.

A peggiorare le cose, come effetto collaterale della chiusura fisica dei bordelli, c’è stato un aumento del mercato pornografico che in maniera decisa ha colto l’occasione di capitalizzare la miseria delle donne. PornHub – il maggiore serbatoio online di abusi sessuali sulle donne registrate, che al momento sta affrontando serie accuse per traffico di esseri umani – ha lanciato un’offerta “filantropica” diretta agli uomini – un aggiornamento gratuito dei servizi premium di PurnHub. Come molti servizi che sono passati alla modalità online, nel contesto della prostituzione, questo implica che le donne che dovevano avere a che fare con uomini abusivi nei bordelli reali, dovranno ora interagire con loro in quelli virtuali. E dal moment che, i clienti chiusi a casa probabilmente non cambieranno i loro comportamenti – e tra l’altro, l’impatto psicologico dell’isolamento rischia di peggiorarli - sarà necessaria una fornitura doppia di donne per soddisfare tale domanda. Queste donne verranno dai contesti più disagiati – saranno madri sole,  disoccupate, studentesse senza entrate economiche, donne migranti e rifugiate.

La salute delle donne e la riscoperta del sesso

 E’ stato stabilito ormai che il Covid-19 uccide più uomini che donne. Alcuni dicono che la cosa è collegata al nostro sistema immunitario, agli ormoni femminili e ad uno stile di vita più sano rispetto a quello maschile. L’Organizzazione Mondiale della Sanità parla di “un vantaggio biologico intrinseco del genere femminile”, mentre, alcuni altri scienziati affermano che “le donne hanno un vantaggio immunologico sugli uomini” dovuto al doppio cromosoma X. Tuttavia, non esistono ancora risposte chiare. A sottolineare questa incertezza sta il fatto che i nostri sistemi – non solo quelli relativi alla salute, ma ogni tipo di sistema – non posseggono dati disaggregati in base al genere, non affrontando le distinte necessità dei due gruppi cioè di donne e di uomini, questi ultimi sono visti come la regola. Caroline Criado Perez l’ha detto chiaramente in un suo recente libro “Invisible Women: Exposing Data Bias in a World Designed for Men “ (Donne invisibili: esponendo il pregiudizio nei dati in un mondo pensato per gli uomini). A rendere le cose peggiori, in una situazione di scarsità di dati sulle donne, l’attuale concetto di “genere”, ora in voga, ha sostituito quello di “sesso biologico”, trasformando, di conseguenza, un immutabile caratteristica umana in una questione di “identità”. Ma i nostri corpi sessuati non possono essere ridotti a un’identificazione personale e questa crisi globale ha evidenziato questa verità inoffensiva. Sotto la pressione del Covid-19, alcune cliniche hanno finalmente ammesso che la surroga – un meccanismo riproduttivo a cui solo le donne sono soggette – ha un grave impatto dannoso sulla salute, poiché “alle donne surrogate” vengono iniettati farmaci immunosoppressivi che le rendono incapaci di reagire al virus. Altre cliniche invece, dove l’autodeterminazione del sesso era divenuta prassi, hanno realizzato che la registrazione corretta del sesso biologico è più importante dei nostri sentimenti al riguardo. Dopotutto il sesso non è mai stato un costrutto “assegnato” a caso da noncuranti dottori; viene osservato alla nascita e può fare la differenza tra la vita e la morte.

La questione attinente alla salute, però, non riguarda meramente coloro che sono più esposti alle forme più maligne del Covid-19. Anche se, il sesso femminile si è dimostrato più resiliente, c’è tutta una serie di conseguenze che si manifestano sulla salute femminile durante questa crisi. Dalle infermiere e alle inservienti senza sufficienti protezioni, la cui salute è a rischio, alla salute che si rischia in casa in seguito agli abusi domestici, alla salute mentale delle madri sulle cui spalle pesa, soprattutto l’istruzione casalinga dei figli. La salute delle donne in quanto gruppo sarà costretta a sopportare le conseguenze di questa crisi. E, se il fatto che dopo nove mesi di isolamento dobbiamo aspettarci una nuova generazione di “baby boomers” è divenuta quasi una barzelletta, la realtà è che in molti Paesi europei i servizi abortivi sono considerati “non essenziali” e le donne hanno difficoltà ad accedere alla contraccezione. Se siamo destinati ad avere molte nascite fra nove mesi, sarà ciò il risultato delle scelte riproduttive delle donne o dalla mancanza di possibilità di operare tale scelte?

 Nei ‘Paesi in via di sviluppo”, in particolare, in quelli in cui c’è mancanza di cibo o che ospitano il maggior numero di rifugiati al mondo, la questione riguardante la salute delle donne diventa ancor più drastica: in stato di quarantena, con settori dell’economia che chiudono e famiglie non più in grado di immagazzinare viveri, qual sarà l’impatto sulla salute delle bambine e delle donne tenuto conto della già diffusa malnutrizione delle bambine stesse? Come reagiranno le comunità alla notizia che il virus è più fatale per gli uomini, in considerazione della già estesa pratica degli aborti selettivi per sesso del feto e le statistiche sui femminicidi?

La risposta è nel nome: la pandemia è globale

Se pensi che ce la stiamo passando brutta in Europa, pensa come deve essere nelle favelas in Brasile dove l’epidemia colpisce. Pensa alle aree di Dalit in India. Pensa alle baraccopoli in Kenya.

Allorchè, Bill Gates nel suo Ted Talk del 2015 ammonì a prepararsi ad una eventuale pandemia, non applicò la stessa logica alle sue azioni filantropiche. Se lo avesse fatto, sicuramente non avrebbe investito milioni nella distribuzione di preservativi nelle zone a luci rosse dei distretti dell’India, dove le ragazze nascono da madri prostitute, solo per poi diventare prostituite a loro volta all’età di otto anni. Avrebbe, invece, investito nella possibilità di far uscire queste donne dalle baraccopoli e nel creare le condizioni sociali in grado di scoraggiare il comportamento degli uomini che visitano questi luoghi. Ed è qui, dove il modello patriarcale capitalista “del far bene” ci ha portato: nonostante tutte le risorse e le tecnologie a disposizione, il mondo occidentale si è concentrato sul generare profitto, non ha investito in strutture che ci avrebbero consentito di affrontare, o prevenire, una tale pandemia.

 La relazione sbilanciata tra Nord e Sud del mondo appare più forte che mai, anche, nella gestione di questa pandemia, che sta già producendo i suoi effetti sulle economie in Africa, America Latina e ed Asia. Dal momento che tutti tirano dentro la conversazione l’Ebola, non dobbiamo dimenticarci che l’Ebola è stata percepita come un qualcosa di “lontano da noi”. Non ha scosso il sistema sociale, economico e politico globale, lasciando il continente africano, da solo, a gestire la crisi.

Nonostante il “Sud Globale” stia adottando misure preventive per contenere il Covid-19,  diversi Paesi ne pagano già l’amaro prezzo: iniziando dai Paesi con regimi autoritari che stanno approfittando della situazione, per implementare politiche rigide e per detenere e torturare i dissidenti, nel frattempo, mentre il mondo è impegnato a guardare la pandemia. La situazione peggiora, quando i media, i “think thanks” e le organizzazioni della società civile compiono un’analisi del Sud del mondo, concentrandosi soprattutto sull’impatto economico, senza alcuna menzione di come tale impatto influenzi le vite di donne e bambine.

Ciò significa che nei Paesi dove la violenza domestica non è considerata come tale, in regime di quarantena o isolamento, la sua incidenza aumenta senza essere notata. La violenza maschile di cui si è parlato sopra, farà pesare le sue conseguenze sull’instabilità politica nei paesi in transizione da conflitti e guerre, che inevitabilmente si ripercuoteranno sulle donne e le bambine. Laddove, i diritti finanziari e di proprietà delle donne sono deboli e dove il reddito delle donne, includendo le vedove, le madri single e le studentesse, deriva dal guadagno giornaliero dell’economia informale, milioni di donne passeranno dalla situazione di povertà a quella di estrema povertà. Non saranno messe in atto misure per le donne impiegate nel lavoro domestico o di assistenza, molte delle quali già vivono in condizioni simili alla schiavitù. 

Come aveva affermato Simone de Beauvoir “mai dimenticarsi che una crisi politica, economica o religiosa potrà essere più che sufficiente per mettere in discussione i diritti delle donne. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrai vigilare durante tutta la tua vita”, e aveva ragione. Le conseguenze su larga scala di questa pandemia, che dobbiamo essere pronti a fronteggiare, non si limitano solamente ad una crisi economica. Dobbiamo essere pronti a fronteggiare un ritorno indietro dei diritti delle donne – di tutte le donne del mondo – verso il periodo pre-CEDAW.

La pandemia ha monopolizzato l’attenzione di tutti, con il rischio che le importanti questioni di genere vengano dimenticate. Femminicidi, mutilazioni genitali femminili, matrimoni forzati, stupri sono solo alcune delle violazioni dei diritti umani che rischiano di cadere nel silenzio. Queste si amplificano nei campi per rifugiati e per sfollati esistenti nel mondo. I diritti economici delle donne rischiano di essere considerati di secondo livello, mentre sempre più donne cercheranno di andarsene dalle zone devastate, rischiando di essere vittime di trafficanti e sfruttatori.

 Una finestra di opportunità: sognate, sorelle, e lottate!

Alcuni dicono, “torneremo alla normalità quando la crisi sarà finita”, ma per molte di noi – se non la maggior parte – non è esistita alcuna normalità già da prima. La normalità non è esistita per molte donne in Europa, nonostante il fatto che la nuova Presidente della Commissione Europea sia donna. Non è esistita per molti migranti e rifugiati. Non è esistita per le madri, le anziane, le lavoratrici. Non è esistita una “normalità” per le donne che si prostituiscono.

  E’ giunta l’ora di ammetterlo. E’ giunto, ora, il tempo di chiedersi come debba essere la “normalità”, da una prospettiva femminista e globale.

Se alcune di noi non avessero ancora capito che viviamo in un mondo globalizzato, la magnitudine della crisi. ci deve servire come prova. Se il Covid-19 può diffondersi rapidamente e a livello globale, così possono fare le ideologie o i movimenti; negativi e positivi; distruttivi o, anche, trasformativi.

 La pandemia globale ha offerto uno spazio a quelli che possono beneficiare della distrazione del mondo, per evitare l’esposizione e la pressione in merito alla violenza commessa contro le donne e le bambine, ogni giorno. Ma ha anche aperto uno spazio per rivedere le nostre priorità come società e mostra chiaramente cosa produca benefici per pochi, in contrapposizione alla prosperità dei molti. Per noi – attiviste femministe e alleate – ha creato uno spazio per re-immaginare un mondo libero dalla violenza maschile, dalla oggettivizzazione sessuale di donne e bambine, dalla corruzione patriarcale all’interno delle istituzioni e dallo sfruttamento globale. Un mondo in cui non ci verrà impedito di alzare la voce per la liberazione delle donne attiviste in Arabia Saudita, di chiedere ai governi di mettere fine al sistema della prostituzione, di rivendicare i diritti di badanti e lavoratrici domestiche affinché vengano rispettati come diritti dei lavoratori.

E’ giunto ora il tempo di essere audaci e unite, come donne del mondo, nel chiedere che i diritti umani delle donne, che la prospettiva femminista su come attuarli, e le fonti giuridiche internazionali come la CEDAW e la Dichiarazione di Pechino per cui le nostre madri, di tutto il mondo, hanno lottato duramente, vengano posti al centro dell’agenda politica globale, cominciando dalla nostra casa che è l’Europa.